La situazione che stiamo vivendo ci porta a chiuderci e isolarci diffidando degli altri. Allo stesso tempo però si fa forte il bisogno di sentirsi vicino a qualcuno, parte di una comunità umana.
In questi giorni di tranquillità forzata, rifletto molto e ripercorro la storia di un sogno, la storia di un uomo, dell’Uomo anzi, che con la sua volontà di comunicare ha creato lingue, insieme di simboli e idee che uniscono e dividono.
Un sogno enorme
Un uomo con un grande sogno. Forse non nuovo ma grande, grandissimo, così grande da contenere tutta l’umanità e tutto il mondo, città e campagne. Così enorme da strabordare dal tempo presente e arrivare al futuro. Il sogno non era nuovo, già nella Bibbia era scritto di una torre costruita da un unico grande popolo, punito per la presunzione di voler arrivare al cielo. Punito nel modo peggiore in cui può essere punito un popolo, distruggendone l’identità, anzi moltiplicandola, diversificandone le lingue in modo che nessuno potesse più capire l’altro. E così, di incomprensione in incomprensione si arrivò al conflitto e da lì alla diffidenza e all’odio.
Da allora, l’uomo non fu più così folle e presuntuoso da sperare di poter superare quell’incomprensione di fondo, quella differenza che dalle parole aveva permeato la cultura scavando un fossato sempre più profondo.
Da quel momento, i tentativi di unire i popoli del mondo sotto un’unica lingua non hanno più avuto una motivazione pacifica alla base, parlare una sola lingua era un’imposizione dei conquistatori. Ameno fino al 1887, quando il dottor Ludovico Lazzaro Zamenhof pubblicò l’Unua Libro, il volume che introduce all’Esperanto.
Uguali, diversi
L’Esperanto non è nato da uno scrittore o da un letterato. Zamenhof era un oculista, una persona pratica che conosceva diverse lingue e aveva vissuto nella propria vita le conseguenze degli stereotipi e i problemi di incomprensione dovuti all’uso di lingue diverse, lingue usate per stabilire e identificare i rapporti di potere e non per unire e stimolare una comunicazione alla pari.
Quando creò l’Esperanto, Zamenhof non mise a punto una lingua statica da usare solo per scrivere, si concentrò sulla sua praticità, facendo in modo che fosse facile da utilizzare a da imparare per tutti. La nuova lingua doveva essere il più possibile neutra per rendere persone diverse il più possibile uguali. L’Esperanto non ha mai voluto neppure imporsi come unica lingua, già dall’inizio era considerata una lingua seconda, nata per comunicare con parlanti di lingua materna diversa, una lingua insomma che andasse a sommarsi alle lingue nazionali e dialetti nel rispetto di tutte le sfumature etniche e culturali, senza volersi imporre su di esse, senza volerle cancellare.
Quest’intento pacifico dell’Esperanto era nuovo e si distaccava dall’uso di altre lingue diventate internazionali per prevaricazione, a causa della volontà politica e economica di far prevalere un dato sistema culturale sugli altri.
Una nazione sovranazionale
L’Esperanto ha dunque una storia, una grammatica, un vocabolario vivo che continuamente ingloba nuovi termini. Possiede una letteratura e produce film, musica e altre espressioni artistiche. Come le altre lingue nazionali, è parlata da una comunità di persone che non si riconosce solo nella lingua stessa ma fa riferimento a un sistema di valori anch’esso condiviso.
A differenza delle lingue nazionali però, la comunità che parla Esperanto non è tutta raccolta in prevalenza su uno stesso territorio, è piuttosto sparsa per il mondo e come unico tratto distintivo ha il fatto di parlare Esperanto.
Quale futuro?
Mutamenti di potere hanno sempre avuto bisogno di tempo per affermarsi. Definire l’affermazione dell’Esperanto un’utopia equivale a dire che è un progetto irrealizzabile. Esistono però dei segni di apertura, lo stesso progetto che ha portato alla costituzione dell’Unione Europea è indice di una volontà politica e sovranazionale.
In definitiva, non sappiamo ancora cosa accadrà nel futuro, possiamo solo lavorare affinché cresca la volontà individuale e politica per un sistema che si fondi sull’intercomprensione e sul rispetto reciproco.
Ecco perché parliamo Esperanto. Perché speriamo che alla fine di questo periodo le cose cambieranno e potremo finalmente ritrovarci tutti insieme, uniti, riconoscendo il fatto di essere uguali, anche se diversi.