Quanto conosciamo i colori, compagni di storie, narrazioni, ma anche amici di infanzia o di abbinamenti quotidiani?
Tutto ha inizio con due grandi famiglie: colori primari e colori complementari.
I colori primari sono il giallo, il magenta e il ciano.
Da definizione, sono un insieme di colori scelti per produrre, attraverso la loro combinazione, sommandoli o sottraendoli, una gamma di altri colori.
Ecco come Wikipedia definisce i colori complementari:
“Due luci colorate si dicono complementari quando, sommate (sintesi additiva), danno come risultato una luce acromatica bianca. Il concetto di colori complementari è strettamente derivante dal concetto di tinte opposte, e quest’ultimo poggia su precise basi fisiologiche e ottiche.”
Quando si parla di colore si parla necessariamente di luce.
Infatti, il colore, per definizione è:
“Luce composta da radiazione elettromagnetica di una determinata lunghezza d’onda (c. oggettivo semplice ) o di varie lunghezze d’onda”.
È una definizione che con sé porta una certa complessità ma sottolinea anche il carattere etereo del colore, che riesce ad esprimersi al meglio sugli schermi perché rimane “fatto di luce”.
Le due grandi famiglie del mondo colorato digitale sono RGB e CMYK.
Il metodo di colore RGB viene chiamato “additivo”: ciò significa che la somma dei tre colori Red, Green e Blue come risultato dà il bianco. Se immaginiamo concretamente di spremere dei tubetti di colore rosso, verde e blu per miscelarli è evidente che non si otterrà mai il bianco. L’RGB, infatti, è il metodo colore dell’immagine virtuale: ogni contenuto destinato esclusivamente al web o a una fruizione a schermo deve essere progettato ed esportato in questo formato.
Dall’altro lato c’è il metodo Ciano Magenta Yellow e blacK (CMYK), basato su una teoria del colore “sottrattiva”: la somma di queste tinte è il nero.
Questo è il metodo colore di qualsiasi file destinato alla stampa. Gli inchiostri in stampa danno gli stessi colori del metodo CMYK.
RGB e CMYK sono metodi nati per finalità completamente diverse. Il metodo RGB si esprime in luminosità e lo schermo emette luce; il metodo CMYK prevede una quantità di inchiostri su carta, di conseguenza assorbimento di luce. Infatti, se proviamo a convertire una foto da RGB a CMYK, il risultato sarà un evidente impoverimento di saturazione e brillantezza dei colori. Il metodo RGB quindi, essendo nativo per il digitale, ha un vantaggio per la rappresentazione dei colori a schermo.
Sembra tutto molto complesso ma in realtà, superati questi scogli tecnici, non resta che scegliere il colore giusto per quel contesto e quello scopo.
Fantasia e storia sono le basi per la scelta dei colori di un lavoro – che si tratti di loghi, slide, illustrazioni, fumetti, quadri, pubblicità.
La fantasia, perché ci permette di stupire trovando abbinamenti nuovi a partire da quei “pochi” colori che abbiamo a disposizione.
Storia, perché ogni colore porta con sé significati e rimandi che spesso sono rimasti immutati nei secoli; altre volte invece, sono molto cangianti.
Un esempio di cambio di significato nel tempo di un colore si può trovare nella delicata diatriba che vede l’associazione tra blu-maschio e rosa-femmina. Dicotomia recentissima, se si pensa che sulla rivista di moda “Earnshaw’s Infants’ Department” nel 1918 i completini rosa erano ritenuti più adatti ai bambini e quelli blu alle bambine, a causa dell’associazione del colore del lapislazzuli con la vergine Maria, mentre il rosa era visto come una versione più edulcorata del rosso, colore bellico e simbolo di potere. Nel 1918, questa distinzione era vista come una novità, iniziata come una “moda francese” in un contesto in cui non vi erano reali distinzioni nel colore dell’abbigliamento degli infanti. (https://www.ilpost.it/2013/11/19/breve-storia-del-colore-rosa)
A supporto della creatività e della conoscenza ci sono validissimi strumenti online e cartacei che aiutano grafici e clienti a trovare la giusta palette per un lavoro.
Adobe Color https://color.adobe.com/it/create/color-wheel offre un generatore online di colori raggruppati per famiglie (analoghi, complementari, triadi, ecc).
https://coolors.co/com è, invece, molto più intuitivo: un generatore si aggiorna e si reinventa con la semplice pressione della barra spaziatrice.
In entrambi i siti è possibile “fermare” alcune tinte per utilizzarle come punto di partenza per le varie combinazioni.
Una pagina instagram (https://www.instagram.com/colorpalette.cinema/?hl=it), invece, ha un archivio in perenne aggiornamento di scene di film con le rispettive palette estrapolate. Da non dimenticare mai, infatti, il potere narrativo di un colore, l’atmosfera che sa creare e con cui avvolge i nostri progetti.
Nel momento in cui ci si interfaccia con questi strumenti si scopre che i colori, nel mondo della grafica e della progettazione, hanno dei nomi particolari. Non li chiamiamo come “da tubetto” ma si usano diverse diciture, solitamente fatte da numeri, valori e lettere. Questo per creare una maniera univoca di indicare determinate tinte che spesso sono anche viste diversamente da schermo a schermo (a seconda della, come si direbbe in gergo tecnico, taratura del monitor).
Per esempio, un “rosso vivo” ha questi nomi:
RGB: R 208 G 0 B 0
CMYK: C:0 M:100 Y:100 K:18
o anche
codice HEX (utile nel linguaggio CSS e HTML) : #d0000
Tutti nomi diversi per indicare lo stesso colore. A proposito di denominazione dei colori, una delle metodologie più utilizzate nel mondo della grafica è certamente il Pantone. Una raccolta di colori identificati con un codice, nata per creare un linguaggio cromatico universale al fine di semplificare il lavoro di chi utilizza i colori per fini commerciali e pubblicitari.
Certamente è da sottolineare che, pur avendo dei codici definiti per i colori, la percezione è sempre soggettiva e variazioni minime possono determinare percezioni diverse. Questo diventa evidente quando ci sono patologie nella percezione del colore.
È sempre importante tenere conto del contrasto fra due colori, soprattutto quando si parla, per esempio, di slide o copertine dove un testo colorato è posto su dei fondini. Non c’è da temere perché i due strumenti online proposti poco prima offrono dei tool per verificare la leggibilità e, nel caso, correggerla.
Quando poi, la progettazione digitale deve sfociare in un prodotto cartaceo, bisogna valutare anche altre variabili. Fra tutte sicuramente le più influenti sono i macchinari di stampa (ogni macchina da stampa tipografica stampa in modo diverso) e la carta scelta – che, a seconda della tipologia, restituisce una resa del colore variabile. È importante relazionarsi sempre con gli stampatori perché possono dare valide indicazioni al cliente e al grafico per lavorare con la giusta palette.
Due libri molto utili, anche per immaginare un possibile effetto stampato, sono:
A dictionary of color combinations
https://www.amazon.it/Dictionary-Color-Combinations-Various/dp/4861522471/ref=sr_1_2?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&dchild=1&keywords=color+dictionary&qid=1622109375&sr=8-2
E colorpedia
https://www.amazon.it/Colorpedia-Guida-colori-grahic-designer/dp/8857609367/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&dchild=1&keywords=colorpedia&qid=1622109395&sr=8-1 che offre anche, all’inizio di ogni capitolo, delle brevi ma chiare e stimolanti introduzioni storiche ai vari colori e accenni di storia della grafica e della pubblicità.
Per una storia simbolica del colore invece si consiglia la lettura del Il piccolo libro dei colori. https://www.amazon.it/piccolo-libro-dei-colori/dp/8879288555
Concludendo, il colore è forse l’elemento che racconta meglio la storia dell’umanità nei suoi cambiamenti e in quegli aspetti che non sono mai mutati. Ne racconta le credenze –anche sbagliate-, le mitologie, le religioni e la politica. Un linguaggio a volte universale, a volte no ma sempre di forte impatto e, in ogni caso, presente in ogni momento delle nostre vite.