L’8 febbraio a Bologna si è tenuto l’evento Ponti o barriere? Lingue come strumenti di conflitto o pacificazione organizzato dall’associazione Bunta Esperanto asocio come attività legata al progetto Erasmus+ Learn, Create, Share! Alla conferenza hanno partecipato Jadel Andreetto, uno degli autori riuniti sotto lo pseudonimo Marco Felder che ha firmato il libro “Tutta quella brava gente” (Rizzoli, 2019); Alex Boschetti, lo scrittore che ha moderato l’incontro, e Gianfranca Gastaldi dell’associazione NITOBE, che mira alla sensibilizzazione sui diritti linguistici, considerati parte integrante dei diritti umani.

L’evento ha preso spunto dalla situazione tra italiani e tedeschi a Bolzano che fa da sfondo al racconto ripreso nel libro e ha poi approfondito alcune questioni che riguardano il rapporto tra lingua, linguaggio e identità, soffermandosi a esaminare le differenze tra Esperanto e le lingue nazionali.

In via preliminare, bisogna cercare di definire cos’è il linguaggio e cos’è invece la lingua. Il linguaggio fa riferimento al codice di comunicazione utilizzato per veicolare dei significati. La lingua invece usa dei particolari codici linguistici (regole) condivisi da una comunità. Proprio in base alla definizione di lingua come prodotto sociale della facoltà di linguaggio è possibile capire anche come una lingua possa rappresentare, in definitiva, anche un sistema di valori tipico di una comunità insediata in un preciso territorio.

Non è difficile a questo punto spiegarsi come una lingua possa essere usata per circoscrivere il più possibile la propria comunità di parlanti escludendo tutti gli altri, che in certi casi possono essere visti come una minaccia da tenere appunto lontana. Al contrario, lingue come l’Esperanto, nonostante abbiano una storia e una produzione culturale, non sono storicamente parlate in un certo territorio, chi è esperantista si riconosce come tale solo perché parla Esperanto. Questa apertura a una comunità più vasta che non si riconosce in un preciso territorio porta a considerare l’altro non come una minaccia ma come un elemento col quale mettersi in relazione anche attraverso la lingua.

A differenza delle lingue nazionali, l’Esperanto è infatti una lingua nata per connettere, non vede l’altro come una minaccia e nasce con la volontà di offrire uno strumento linguistico equitario e neutrale. L’Esperanto è infatti una lingua seconda per tutti che va appresa per essere esercitata e così facendo mette tutti i suoi parlanti sullo stesso piano.

Ci si potrebbe chiedere perché oggi al posto di altre lingue veicolari allora non si sia affermato l’Esperanto visto che presenta caratteristiche che ne rendono più semplice l’apprendimento e la comprensione. L’Esperanto non si è affermato a causa di una precisa volontà politica che ha portato alcuni sistemi socioeconomici a prevalere sugli altri. Al contrario l’Esperanto contiene in sé un assunto implicitamente pacificatore.

In sostanza, il fatto che si siano affermate certe convenzioni, anche linguistiche, e non altre, è frutto di una decisione e in quanto tale questa può essere cambiata. Anche a partire dal potere della parola, che dalla Genesi in poi ha dimostrato di poter fare accadere, e cambiare, le cose.